L’Adi, Associazione Docenti Italiani, attacca gli insegnanti precari
“I docenti precari non hanno ideali né
valori”
A loro viene attribuito il pericolo di una “mutazione antropologica”
30 NOVEMBRE 2006 – Alcune frasi di un documento prodotto dall’Adi,
l’Associazione docenti italiani, sono secondo noi poco condivisibili. L’analisi
dell’Adi sull’“implosione della
professione docente” e sulla “precarizzazione
e proletarizzazione della docenza”, offre importanti spunti di riflessione
e sarebbe stupido non coglierli. Ma addossare sui precari della scuola, che
sono vittima di una sfruttamento sociale senza uguali, perpetrato peraltro
dallo Stato, è ingiusto e diffamatorio oltre che mortificante. Affermare che i
precari “non hanno ideali”,
che “non si spendono”, che la
loro autonomia è un “kit di
sopravvivenza”, che “hanno
una scarsa opinione del proprio lavoro”, che “non riescono a percepire l'insegnamento in termini di fedeltà a dei
principi e a dei valori”, che “sono
portati ad autodifendersi, assumendo atteggiamenti utilitaristici che evitino
che i costi del mestiere superino i benefici” è frutto di una
distorsione della realtà da parte di chi non si rende conto di quanta dedizione
e di quanto spirito di sacrificio ci sia tra i precari e di quante decine di
migliaia di insegnanti di ruolo si alzano al mattino per andare a scuola con la
consapevolezza che non faranno niente in classe, semplicemente perché non
vogliono fare un emerito c…o, o perché non sanno neppure da dove cominciare. Il
precariato scolastico produce tutte le conseguenze negative tipiche del
precariato, alcune delle quali ha fatto bene l’Adi a enunciare. Per evitarle
esiste un solo modo: evitare l’abuso dei contratti a termine, cioè lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sono tanti i lavativi nel mondo del
precariato scolastico, anzi sono tantissimi. Sono tantissimi coloro che
dovrebbero fare un altro mestiere. Identica è la situazione riscontrabile tra
il personale assunto a tempo indeterminato, buona parte del quale è entrata in
ruolo grazie ai corsi abilitanti
degli anni ’70-80. Allora non è questo il punto. Eppure si arriva a dire che “se questi atteggiamenti e comportamenti,
che sono oggi dominanti nell'anomalo e abnorme mondo del precariato, dovessero invadere un intero ricambio
generazionale, saremmo di fronte a una vera e propria mutazione antropologica del
ruolo dell'insegnante: una tipologia docente che si è lasciata alle spalle tutti i modelli formatisi e susseguitisi
nelle precedenti fasi storiche”. Il precariato è un problema, anzi è un
dramma, una tragedia, dunque occorre evitare che si formi il precariato. E se l’insegnante
di ruolo non facesse finta di ammalarsi specie negli ultimi anni della propria
carriera (e non solo) eviterebbe di contribuire alla nascita del precariato e
dei precari, i quali si ammalano di meno se non altro perché il contratto
collettivo – molto in linea con l’uguaglianza sancita dalla Costituzione –
perpetra la discriminazione anche sul piano del diritto alla salute. Se non si
ammalasse costantemente e puntualmente il 15 giugno di ogni anno in occasione
degli esami di Stato (lo fa da decenni impunemente) il “ruolino” non
contribuirebbe all’arrivo nelle aule di supplenti chiamati a salvare il sedere
a una scuola lasciata in braghe di tela dai “ruolini” tanto pregni di ideali e
di “attaccamento alla funzione docente”. Ci sarebbero meno precari e meno
precariato se i docenti di ruolo non perpetrassero (con la complicità dei
sindacati di cui si fa finta di pigliar le distanze) i famigerati passaggi di cattedra; se non affollessero, pur
essendo di ruolo, quelle graduatorie permanenti tanto disprezzate; se non
prendessero in ostaggio per anni e per decenni cattedre lasciate alle supplenze
perché si preferisce, per anni e per
decenni, fare il sindacalista, il sindaco, l’assessore, il parlamentare, il
viceministro e il ministro; se non si rendessero complici di quello
straordinario strumento devastante per la qualità degli apprendimenti
rappresentato dai corsi di
riconversione in materie in cui si è incompetenti rilanciati anche quest’anno
dalla legge finanziaria detestata a giorni
alterni, cioè quando conviene; se
non si abbandonasse la cattedra di sostegno di ruolo per passare sulla
disciplina. Ci sono insegnanti precari che sono andati in pensione
senza essere riusciti a passare di ruolo, a tanti altri succederà la stessa
cosa. Saranno dei fannulloni – se sono dei fannulloni – nella stessa misura in cui lo sono – quando
lo sono – i docenti di ruolo. Ma a loro – gli invisibili sfruttati dello Stato
– deve andare il massimo rispetto.